mercoledì 26 novembre 2014

Z-Nation e gli zombi di serie B


Z-NATION (2014)





Ideatore: Karl Schaefer

AttoriKellita Smith, DJ Qualls, Keith Allan

Paese:
USA


Vale la pena scrivere due parole su Z-Nation, dai. Foss'anche solo per il fatto che dietro la stessa ci sia L'Asylum, studio cinematografico padre, tra i mille b-movie proposti che si rifanno ai grandi titoli mainstream, di una roba che si chiama Sharknado e che parla esattamente di ciò a cui state pensando. Personalmente ancora non ho avuto il coraggio di vederlo, ma di sicuro lo farò, perché un tornado di squali va visto punto e basta, dovesse anche essere il livello più basso mai raggiunto dalla settima arte. Del resto Sharknado vanta pure una citazione. E proprio, niente meno, che in Z-Nation.


Trasmessa dalla Syfy, la serie, mettiamolo subito in chiaro, è un po' una stronzata, ma chiunque si aspettasse il contrario avrebbe dovuto riflettere prima sui settaggi delle proprie aspettative valutando le variabili in gioco. Non si tesseranno pertanto, in questa sede, le lodi di un prodotto che dato il livello generale raggiunto dal mezzo televisivo riesce a strappare a fatica la sufficienza. Ciò che si farà, però, sarà mettere in luce gli aspetti vincenti di una proposta che se non altro è cosciente del suo non avere alcuna pretesa. Anzi, in tutta onestà, di una proposta che mette in luce tutte le debolezze della serie mainstream a cui fa riferimento. Come molte delle robe scritte dall'Asylum, infatti, anche Z-Nation guarda ad uno dei prodotti che più ha spopolato negli ultimi anni, e che si dà il caso sia anche uno dei più brutti che si ricordi. Si sta parlando, ovviamente, di The Walking Dead.
Come suggerisce il titolo, anche Z-Nation segue il filone zombiano-post-apocalittico-surviving- viadiscorrendo, ma lo fa con un budget infinatamente minore: qualcosa come 700.000$ contro i 2.500.000$ a puntata di TWD (in realtà il costo della singola puntata della prima stagione si aggirava intorno ai 3.4 milioni). Ora, è chiaro che siano prodotti diversi, e in termini di fattura e in termini di intenzioni, tuttavia il problema è che Z-Nation con la sua coglionaggine (mi si passi il termine tecnico) è molto più divertente di TWD. E non si sta parlando di divertimento in senso stretto, dato che il primo è caciarone e leggero e il secondo punta a serietà ed esistenzialismo, ma di divertimento inteso come coinvolgimento e fruibilità; come, al solito, piacere di andare avanti. In quattro stagioni TWD, lo si è ripetuto allo sfinimento in questo stesso blog, annoia fino alla depressione mostrando una sceneggiatura scritta con i piedi, salvo barlumi di qualità sparsi a caso, e rende il tutto ancor più indigesto a causa di una pretenziosità che dopo più stagioni veramente scarse diviene finanche fastidiosa. Z-Nation, al contrario, non ha pretese nemmeno a pagarle, si presenta al mondo televisivo con un carico non indifferente di sciocchezze e si rende più interessante di una roba su cui si continua a spendere l'impossibile, manco fosse una sorta di accanimento terapeutico 2.0.


A Z-Nation non importa nulla di rispettare un qualche standard. Diciamo anche che a Z-Nation e all'Asylum non importa nulla in generale. All'inizio di ogni puntata dovrebbe comparire qualcosa tipo "Kill your own brain. No Mercy", giusto per evitare che qualche genio si predisponga con occhio critico alla visione. E' il classico b-movie senza pretese, con dialoghi dallo spessore volutamente nullo, dall'approfondimento farlocco e dalla struttura in polistirolo. Ah, e anche dalla colorazione livida figlia di un qualche programma di video-editing scaricato e craccato.
E però funziona. Convince ad andare avanti con la visione. Di certo è molto più godibile di TWD, ha parentesi spassose, ha ritmo, azione e ogni tanto nelle puntate si ritrovano elementi tipici del genere, tipo cannibali e sette capitanate da gente impazzita ma, cosa assai importante, senza mai tediare. Nel senso, son scenari da una botta e via, durano giusto il tempo della puntata. E poi c'è il tornado di zombi: non stavo scherzando prima, c'è davvero un tornando di zombi. Sì, proprio così. E un tornado di zombi è bellissimo, siamo sinceri.

Ha dei cali, la nuova creatura dell'Asylum, solo quando guarda caso prova a tessere sottotrame introspettive (anche se lo fa comunque in modo idiota), ma è una situazione fortunatamente più unica che rara. Anzi, quando accade sembra rendersene conto e torna subito sui livelli ignoranti che la contraddistinguono.


E' un baraccone alla fine, sì, non è paragonabile ad una serie come TWD che punta allo spessore perché obiettivi, premesse e coefficiente di difficoltà sono differenti, però se dopo 4 anni e un mare di soldi non hai combinato nulla di buono, viene un branco di scalmanati e con 1/10 dei tuoi soldi e una sola stagione all'attivo (invero nemmeno conclusasi, ancora) si rende più interessante di te, beh forse prenderti un po' per il culo è anche giusto, non credi? Con affetto. 


venerdì 14 novembre 2014

Interstellar e l'onda del secolo.


INTERSTELLAR (2014)





Regia: Christopher Nolan

Attori:
Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain
 

Paese: USA/UK


Non è il mistero di ciò che c'è oltre. Non è il mistero dei buchi neri e di galassie lontane, né dei viaggi oltre lo spazio con tanto di sovrapposizioni temporali. Non è nemmeno il mistero della vita e della forza di un sentimento a muovere l'ultima fatica di Nolan. A muovere "Interstellar" e a renderlo interessante, in realtà, è il mistero di un autore che è passato da sceneggiature granitiche, inattaccabili, emozionanti proprio perché potenti a sceneggiaturine che a volte sembra vogliano competere con"Armageddon". A renderlo interessante, invero, è pure quella maledettittissima onda, epica, gigante e bellissima... ma di questo parleremo poi. Ah, e anche il fighissimo viaggio nel buco nero, ma pure di questo parleremo poi.

 

Quel che è importante, qui, è uno degli scenari più fastidiosi per noi fruitori. Gente che va al cinema per godere come se non ci fosse un domani, lasciandosi andare a storie dalle quali ci si fa coivolgere fino al punto di mettere in dubbio la propria sanità mentale, con buona pace della nostra coscienza. Ci si riferisce al trovarsi davanti ad un'opera enorme in potenza, all'appassionarsi ad essa senza freni, al fidarsi del prosieguo, solo per ritrovarsi, poi, a fare i conti con promesse non mantenute, con un cambio radicale e poco coerente, con un "ferma, dove credevi di andare?" rivolto all'empatia che manco un calcio nelle palle. Per quello poi si insiste con la critica, non per hobby, ma solo per essere stati sedotti e abbandonati, come nella più classica delle storie.
Sì, perché io per primo, in tutta sincerità, fino al pianeta Miller mi stavo convincendo del capolavoro, o quasi. E' vero, delle scelte un po' discutibili ci sono già nella parte iniziale, tipo questo che prende e parte, stile "oh stiamo andando Las Vegas, vieni? Sì, però guidi tu", ma niente di che alla fine dei conti. O meglio, niente di che se alla fine quei conti tornano. Il problema si ha quando non tornano o quando sono così sempliciotti che 2 + 2 al confronto sembra un'equazione di secondo grado con due variabili. Tuttavia, si scriveva, nonostante qualche sciocchezza per metà il film funziona, e funziona anche bene. Riesce a ricreare una dimensione tutta sua, che è forse tra le cose più difficili quando si parla di settima arte e più in generale di storie. Una di quelle dimensioni in cui, come scritto poco sopra, ci si abbandona volentieri, si avverte anzi la necessità di entrarci mettendo da parte la realtà. Punta all'epicità e getta le basi per raggiungerla, usa le variabili giuste fino ad innalzare su quelle basi anche la struttura portante e, diciamocelo chiaramente, quando questi si avvicinano al buco nero immersi nello spazio, a un passo dall'ignoto, sapendo che di lì a qualche attimo lo attraverseranno, la sedia durante la visione è già abbondantemente diventata una postazione nella navicella, lì affianco ai protagonisti. Ti ritrovi a guardarti intorno per capire quali tasti spingere e quali manovre effettuare per gestire l'imminente viaggio spazio-temporale.
E poi, ancora, quando ci si ritrova su Miller e Rust (no, ha un nome diverso in questo film, chiedo scusa) guardando all'orizzonte dice "non sono montagne, quella è un'onda" la realtà è già stata doppiata quelle 15 volte. Stupenda quell'onda. Niente di che. Né robe strane, né soli o lune a valanga accanto al nuovo pianeta, né forme sconosciute. No, solo calma piatta, acqua a perdità d'occhio e un'onda fottutamente enorme. Cinema nel suo stato più puro. E visivamente e emotivamente. Il tutto su un pianeta in cui un'ora equivale a 7 anni sulla Terra, in una galassia sconosciuta; uno dei 12 pianeti, con altrettanti astronauti, che gli umani hanno deciso di esplorarare. A questo punto le premesse sono immense e nella prossima ora e mezza devi fare il botto, ti tocca; perché dall'altra parte dello schermo c'è gente che ormai è pronta a partire su una navicella subito dopo la fine del film; e perché altrimenti sarebbe come presentare il progetto di una macchina volante e restituire al termine una cinquecento con due ali montate sopra per decorazione.


E niente, a quanto pare la cinquecento con le ali ha la sua discreta schiera di fan. Tra cui anche Nolan. Da questo punto in avanti, infatti, si scende in picchiata, quasi la navicella che faceva surf sull'onda gigante di cui sopra fosse una metafora con cui si avvisava il povero, sedotto e abbandonato spettatore. Nuovo pianeta, cattivo di turno, navicella rubata e Mettiu supereroe che fa una mossa che manco in robe tipo Mazinga ricordo di aver mai visto. Tutti 'sti passaggi di sceneggiatura inutili che non c'entrano quasi nulla con il volto di una pellicola che fino a quel momento guardava verso l'infinito, verso il nuovo, che sfidava l'universo, che si specchiava in un viaggio enorme senza tempo e senza limiti. Mette da parte questi che erano gli aspetti più belli e vira bruscamente verso buono/cattivo/eroe e racconta una parentesi lontana anni luce dai livelli promessi fino a poco prima. Una parentesi dietro la quale si va poi a nascondere tutto il prosieguo messo in ballo, sì da non essere costretti a svilupparlo, chiudendo con un tuffo nel buco nero e una cameretta pentadimensionale al suo interno. Cioè mondi, galassie, tunnel spazio temporali, una roba sconfinata, e alla fine? lo stanzino dietro la cameretta della figlia? Eddai, però...
Non ho neanche voglia di parlare dei buchi di sceneggiatura, in realtà. In uno scenario come quello fantascientifico si perdonano (oddio, sempre fino a un certo punto). Qui ciò che non si può perdonare è la banalità della risoluzione, quello sventolare davanti ad un bambino un nuovo videogioco e poi dirgli che all'interno della scatola in realtà c'è sempre quel cazzo di Tetris dimmerda. O al massimo Snake. Maledizione.

Non parlo da critico, perché non lo sono. Infatti non mi va nemmeno di parlare di fotografia, regia e interpretazioni, belle o brutte che siano. Il danno qui è la storia raccontata, è sempre lei. Che sia un libro, un film, una serie, un racconto breve, è la storia il fulcro di tutto. Se poi la racconti anche bene vinci tutto. Ma se la storia fa cagare, signori, fa cagare. E, figuriamoci, non si sta parlando di una delle premesse fondamentali, a mio avviso abbastanza priva di senso già di suo, ossia che gente del futuro piazzi un buco nero per salvare gente del passato così. Per la serie "dato che fra 10-20-30 anni muori, vieni da noi e finisci di morire qua". Che poi, per inciso, se il resto fosse stato valido me ne sarei anche fregato.


Comunque nulla, alla fine questo è chiaramente lo sfogo di un amante che era pronto ad impegnarsi in una storia d'amore e che poi scopre l'altra a scopacchiarsi il resto dell'umanità. Un amante di vecchia data, oltretutto, dato che dopo "The Following", "Memento" e soprattutto "The Prestige", Nolan godeva di tutta la mia stima. Ma tant'è, mortacci suoi. 


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